La classe operaia va in paradiso |
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.:Inviato Martedì, 11 agosto 2009 @ 11:08:29 da rdbcub |
 Sette operai della ditta edile 'Calci Idrate' di Marcellina, comune a circa 40 km da Roma, stanno protestando da questa mattina su un ballatoio di una torre di ferro dello stabilimento, alta circa 50 metri, contro l'ipotesi di licenziamento dei circa 100 colleghi impiegati nella ditta e nell’indotto. ''Abbiamo preso l'idea di salire qui sopra dalla Innse di Milano e non scenderemo neanche noi finché non ci verrà dato quello che ci spetta di diritto poiché é un Comune che ci vuole chiudere e non l'azienda''. A parlare, quasi all'unisono, sono Enzo, Gianfranco, Giulio, Giuliano, Luca, Luciano... ... e Paolo, i sette operai della Cim, tra i 27 ed i 50 anni, che da stamani alle 7 hanno deciso di salire sul terrazzo della torre di miscelazione dello stabilimento, ad un'altezza di circa 37 metri. Hanno affisso uno striscione con scritto ''vogliamo lavorare'' e messo quattro bandiere della Cisl. Si coprono dal sole battente con cappelli ed un ombrellone e sono in attesa che arrivi il sindaco di Marcellina Alfredo Ricci che, alcune fonti, danno in viaggio di ritorno dalla Puglia. ''Giovedì scorso il consiglio comunale di Marcellina - raccontano - ha ritrattato tutto quello che ci avevano promesso. Abbiamo saputo che il sindaco vuole chiudere al più presto possibile l'azienda''. ''Da due anni subiamo la violenza psicologica - aggiunge uno degli operai - di non avere certezza del nostro futuro lavorativo''. Il sindaco Ricci, che guida una giunta di centrosinistra ed è entrato in carica a metà giugno, ''oltretutto ha chiesto i voti in campagna elettorale a noi e alle nostre famiglie per sistemare la situazione della Cim. Ha fatto anche un comizio elettorale sulla vicenda ed ora ha fatto questo voltafaccia''. Le intenzioni degli operai sono dure. ''Il sindaco - dicono - è anche un medico. Ha fatto un giuramento e sa quanto costa una vita...e qui se non otteniamo quello che vogliamo va a finire male''. Gli operai esprimono anche disappunto perché finora nessun rappresentante del consiglio comunale di Marcellina si è presentato per testimoniare solidarietà. A far esplodere la miccia della protesta dei sette operai è stata una decisione adottata dal consiglio comunale di Marcellina giovedì scorso. L'assemblea ha deciso di non annullare il bando di gara, come invece promesso dal sindaco Alfredo Ricci, per l'affitto del sito dove sorge la Cim, azienda che ha 45 dipendenti interni ed arriva a 105 se si considerano quelli indiretti dell'indotto. ''Giovedì il consiglio comunale ha deliberato - afferma Massimo Bernardoni, uno dei figli del titolare - di approvare il bando modificando due parametri che in un primo momento si escludevano a priori. Così si è modificato da 30 milioni l'anno a 10 il fatturato delle aziende che possono partecipare al bando (il nostro è sui 12 milioni annui); poi si è modificato un altro parametro che prevede di aver gestito una cava per un quinquennio. Mentre prima si parlava di una cava da 5 anni in attività ma dal 2007 la nostra è stata sospesa''.
Ma le reazioni operaie in questo agosto caldo non si fermano qui. Come altri sue dodici colleghi non riceve lo stipendio da aprile. Per questo stamane un operaio tunisino padre di quattro figli alle 8.30 circa è salito sulla gru del cantiere di via Marsala nel quale lavorava, a Monza. La protesta si è conclusa poco prima di mezzogiorno. Con lui era salito anche un collega italiano che però è sceso quasi subito. Il caso era già stato sollevato la settimana scorsa dai sindacati. Su 17 lavoratori del cantiere della società Essebi, aperto per la costruzione di box e appartamenti, 13 sono in cassa integrazione. Hanno ricevuto una parte dello stipendio di aprile ma ancora niente dei soldi previsti dagli ammortizzatori sociali.
Intanto prosegue la mobilitazione dei lavoratori della Manuli Ribbler nelle Marche. Scrivono questi ultimi in un comunicato diffuso nelle scorse ore: “I casi della Manuli Rubbler di Ascoli e dell’Innse di Milano, così come tanti altrove, al di là della distanza in chilometri, sono legati da un sottile filo rosso che li accomuna: lavoratrici e lavoratori espulsi dalla loro fabbrica, impoverimento delle loro famiglie e dei territori in cui vivono. La decisione delle nostre rispettive aziende di chiudere i battenti per ragioni apparentemente diverse, in realtà, mette in luce semplicemente due lati della stessa medaglia. Il padrone della Manuli concepisce un solo modo di rilanciare l’azienda: tagliare il costo del lavoro. Dopo aver utilizzato dosi massicce di lavoro precario “usa e getta” prontamente eliminato di fronte alle prime avvisaglie della crisi, ora pensa di delocalizzare. Il suo pensiero va oltreconfine alla ricerca di manodopera a costo quasi zero. Il vostro padrone, tal Silvano Genta, non si cura nemmeno delle commesse in essere e si butta direttamente sulla speculazione per incassare immediatamente quanto più possibile dalla vendita dell’area diventata nel frattempo molto più “interessante” per investimenti sul piano immobiliare piuttosto che su quello produttivo e industriale. In entrambe i casi il risultato è la perdita del posto di lavoro: 49 i dipendenti a rischio da voi, 375 da noi, senza considerare le ricadute sull’indotto. Tutti sacrificati sull’altare del “Dio profitto”. La vostra lotta rappresenta oggi la punta mediaticamente più visibile di una resistenza operaia alla crisi e alla decisione dei padroni di utilizzarla come leva per riconquistare il comando totale e incontrastato della forza lavoro in ogni fabbrica. Da lì serve partire per provare ad annodare fili concreti di solidarietà ed unità d’azione tra tutto il mondo del lavoro. Ai lavoratori sul carro-ponte e a tutti gli altri che li stanno sostenendo fuori dai cancelli va la nostra solidarietà ma anche l’appello a metterci in rete perché la vostra azione, simbolicamente esemplare, non rimanga isolata e senza speranza. Divisi siamo tutti più deboli di fronte all’arroganza dei padroni a Milano come ad Ascoli così come in tutto il Paese. Insieme vogliamo provare a vincere. Oggi più che mai questo ha bisogno di azioni dal basso, autogestite, che ridiano fiducia nella lotta e scuotano dall’inerzia, quando non dalla totale subalternità alla logica delle imprese, tutti quei sindacati che con la difesa degli interessi dei lavoratori poco o nulla hanno ormai a che fare.”
News a cura di: Rdb Hinterand Romano
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