I processi di smaltimento tramite
combustione di rifiuto urbano, residuo di raffinazione e scarto industriale,
sono stati e sono ancora massicciamente incentivati dallo stato italiano
nonostante il divieto imposto dalla legge europea (Direttiva 2001/77).
L’obiettivo della Direttiva, infatti, è quello di incentivare esclusivamente
l’uso delle fonti realmente rinnovabili, vale a dire riproducibili. La mancata
osservanza della norma determina il rischio di ulteriori costi
derivanti dalle previste sanzioni.
Un
incentivo all’inquinamento
Preziose risorse da dedicare alle vere fonti
rinnovabili, pagate da tutti i cittadini sull'importo della bolletta
ENEL (oltre il 3%), per anni sono state invece illegalmente dirottate
a petrolieri e inceneritori. La privatizzazione degli utili e la socializzazione
delle perdite in Italia assume proporzioni inquietanti: non ci riferiamo
esclusivamente al danno economico, ma soprattutto a quello sanitario e
ambientale. L'incidenza dei tumori infantili cresce in Italia ad un
ritmo annuo del 2%, un valore doppio rispetto al resto d'Europa. Per i
bambini compresi tra 0 e 12 mesi di vita cresce addirittura al ritmo del
3,2% annuo, dato quest'ultimo certamente non imputabile al loro stile di
vita1. Inoltre è possibile valutare, attraverso un modello
matematico, il danno ambientale e salutare di qualunque impianto che
produca emissioni. Il modello, finanziato dalla Commissione Europea, si chiama
ExternE ed è fruibile da tutti sul sito ufficiale dell’UE.2
Alcuni medici italiani (P. Gentilini e C. Panizza) hanno inserito in
ExternE i dati 2004/2005 di quello che viene considerato il
"fiore all'occhiello" degli inceneritori, quello di Brescia, e
i risultati riferiscono di costi complessivi cagionati alla salute e
all'ambiente di poco inferiori a 1,5 milioni di euro l'anno. Da sottolineare,
inoltre, che il progetto ExternE non prende in considerazione taluni
inquinanti come le nanopolveri, i cui effetti sono ancora allo studio. Dal 2007
l'Italia vanta il primato europeo per presenza di diossina
nell'ambiente. Tra le cause, l'incenerimento dei rifiuti è
secondo solo alle acciaierie. Tutti i processi di combustione sono fonte
d'inquinamento, compresi gli impianti a biomassa
vergine, anch'essi incentivati con contributi pubblici attraverso i
"certificati verdi".
Breve storia dei CIP6
Nel 1991 l’Italia attraversava un
periodo di carenza energetica. Per stimolare la produzione di energia,
alternativa a quella fossile, sono stati introdotti i contributi CIP6/92.
Tali fondi sono stati finanziati da tutti i titolari di
utenza elettrica, che si sono visti aumentare l'importo delle bollette di oltre
il 3%. Tutti, quindi, abbiamo contribuito a finanziare i CIP/6, ma solo
pochiprivilegiati ne hanno beneficiato: tra questi spiccano le raffinerie di
petrolio e gli inceneritori di rifiuti. Solo per il 2006 l'importo dei CIP/6 è
stato di 3,5 miliardi di euro. Il decreto 79 del 1999 ha creato il Gestore
Servizi Elettrici (GSE) in sostituzione dell’Enel nella gestione della rete
elettrica. La Direttiva europea 2001/77 ha poi sancito che i rifiuti non
biodegradabili fossero esclusi dagli incentivi. La legge italiana, col
decreto 387 del 29/12/2003, non ha però recepito tale Direttiva e di
conseguenza l'Europa ha aperto unaprocedura d'infrazione contro
l’Italia. La soluzione con lo stopagli incentivi, anche se in parte vanificata
da alcune deroghe, è arrivata solo con la finanziaria 2007.
Resta però scoperto il periodo compreso tra inizio 2004
e fine 2006, per il quale, quindi, possiamo chiedere il rimborso dei
nostri soldi utilizzati per incentivare attività non previste dalle norme
europee.
I certificati verdi
Nel 1999 il decreto n°79 ha introdotto anche i
certificati verdi, che sono una modalità di incentivazione
diversa dai CIP6. Prevedono che i produttori di energia non rinnovabile siano
costretti a produrre una quota di energia rinnovabile pari al 2%. Se il
produttore non possiede impianti appositi può comprare un equivalente di energia
in certificati verdi, da un produttore che ha impianti per l’energia
rinnovabile. La quotazione di questi certificati non è fissata per legge, come
accade coi CIP6, ma viene contrattata nella borsa elettrica ospitata
telematicamente dal Gestore del Mercato Elettrico (GME). Di fatto i certificati
verdi si trasformano in incentivazioni sull’energia prodotta come i CIP6, ma si
distribuiscono sull’utente attraverso un aumento del prezzo dell’energia
effettuato dal produttore. La particolarità è che il prezzo dei certificati è
variabile e sottoposto a regole non facilmente prevedibili. Se nel 2006 il
valore del CV ha toccato i 144 euro, attualmente è precipitato sotto i 79 euro.
Gli effetti dei contributi
I contributi finanziari rendono
conveniente bruciare plastiche, carta e legno, mentre sarebbe più redditizio,
sia dal punto di vista energetico che da quello economico, riciclarli o
riutilizzarli. La stessa industria del riciclo ne ha sofferto. Alcune aziende
sono costrette a comprare materiale da riciclo all’estero perché in Italia
questa materia scarseggia. Tra tutti gli effetti perversi questo è quello che
induce più povertà al nostro sistema economico. perché ci priva di molti posti
di lavoro che altrimenti sosterrebbero un sistema virtuoso di re-immissione
della materia nel ciclo produttivo. Basti pensare che la plastica si deve
avvalere di una diffusa e specifica tecnologia sviluppata localmente, e ciò
permetterebbe a molte piccole aziende produttrici di sviluppare anche la parte
di riutilizzo della materia raccolta e non bruciata.
Molti credono che la mancata
raccolta differenziata sia imputabile alla mancanza di civiltà del cittadino.
Questo assunto è però smentito da tutti gli esempi virtuosi che si stanno
affermando in Italia. Sono infatti proprio gli incentivi a “convincere” i
tecnici provinciali e comunali o i tecnici delle aziende di gestione a modulare
il livello di raccolta differenziata a valori bassi. In poche parole, i
disservizi sui rifiuti ci vengono fatti pagare due volte: con la bolletta dei
rifiuti e con quella dell’elettricità, per continuare ad utilizzare
antieconomici impianti di combustione.
L’emblema di questo processo lo
troviamo a Brescia dove il più grande inceneritore d’Europa, che riceve
incentivi CIP6 per più di 25 milioni di euro all’anno, ha di fatto bloccato la
raccolta differenziata al 40%, mentre altre zone che per lungimirante strategia
non hanno adottato l’inceneritore, sono prossime all’80%. Oppure in Campania,
dove il miraggio di questi incentivi ha indotto gli amministratori locali a
lasciare che la raccolta differenziata e la buona gestione dei rifiuti
naufragassero in mezzo a mille disservizi, per accumulare carburante nella forma
di ecoballe destinate al costruendo inceneritore di Acerra. Le eco-balle,
peraltro formate da rifiuti indifferenziati, fuori norma, e quindi nemmeno
inceneribili, sono state usate come ipoteca per le banche che sovvenzionano
l’impianto. Fortunatamente la magistratura ha sospeso questo scempio, ma la
cattiva gestione, frutto di una politica spregiudicata, ha lasciato la regione
nelle condizioni che tutti conosciamo.
I retroscena
La pianificazione finanziaria degli
inceneritori deve contare su introiti certi, per potersi ripagare. Il
certificato verde si è dimostrato inadatto allo scopo, e i grandi impianti di
incenerimento hanno subito una battuta d’arresto in tutt’Italia.
Le lobby dell’incenerimento sono
però trasversali e pervasive. Citiamo ad esempio l’episodio occorso in fase di
votazione dell’emendamento alla finanziaria 2006, che avrebbe dovuto bloccare
gli incentivi CIP6 un anno prima di quanto poi avvenuto, in linea con quanto
chiede l’Europa. In sede parlamentare ci si accorse che il testo in votazione
era difforme da quello concordato e licenziato dalla commissione parlamentare.
Ricomparve “e assimilate” vicino alla dicitura “fonti rinnovabili”, e questo,
assieme ad alcune deroghe concesse di lì a poco, ebbe l’effetto di non cambiare
nulla e di confermare i contributi concessi.
Ora le lobby industriali e
impiantistiche sono nuovamente in azione: in parlamento si sono fatte sentire
per bocca del ministro dell’ambiente, che ha annunciato di voler ripristinare un
meccanismo simile ai CIP6. Al di là della retorica contro i comitati locali che
si battono contro l’incenerimento, possiamo leggere il desiderio da parte delle
aziende di attendere che la situazione dei contributi trovi una definizione
stabile. Ci attendiamo che tra non molto compaia una nuova forma di
incentivazione, nascosta per esempio tra le infinite pieghe delle nostre
enciclopediche finanziarie.
Difendiamo un nostro diritto
Tutte le forze politiche, i
sindacati e i gruppi industriali sono stati contattati e sensibilizzati rispetto
al problema. Ma nei fatti si sono posti più a favore degli incentivi che della
salute e dell’interesse pubblico. Nella migliore delle ipotesi si è assistito a
una tiepida denuncia. La finanziaria 2007 in verità aveva sanato la situazione,
ma in seguito sono state firmate deroghe per alcuni inceneritori in via di
costruzione. Anche l’attuale Ministro per l’Ambiente ha riconfermato queste
deroghe per il 2009.
Constatato il fallimento della via
politica, non ci resta che ricorrere a quella giudiziaria.
Come cittadine/i, comunità in lotta, comitati
popolari, abbiamo possibilità di far sentire la nostra voce attraverso una
vertenza legale, denunciando il gestore della rete elettrica e intimando la
restituzione di ciò che ci è stato sottratto illegalmente con le bollette dal
2004 al 2007.
Ogni utente, intestatario di una
bolletta di energia elettrica, potrà sporgere denuncia con l’aiuto e
l’assistenza della nostra associazione. Verrà rappresentato davanti al giudice
della sua città, il quale non potrà che applicare la legge prevalente, ovvero
quella comunitaria, e disporre il rimborso di quella parte di bolletta elettrica
che è servita per incentivare illegalmente gli impianti di incenerimento.
L’azione potrà assumere una certa
rilevanza se le persone che si appellano alla giustizia saranno molte migliaia.
E’ una questione di principio.
Questi incentivi sono stati
sottratti al cittadino in modo illegale. E’ un diritto poterli riavere indietro,
ma questa non può essere l’unica motivazione per un’azione tanto complessa.
Dobbiamo farci sentire, e soprattutto dobbiamo credere nell’importanza del senso
politico che questa azione cerca di esprimere:la necessità di porre un freno
alla volontà di trasgredire ogni regola per favorire affari privati contro
l’interesse dei cittadini.
Chi non esercita un proprio diritto lo perde
Intendiamo muoverci in modo autonomo, fuori da ogni
condizionamento ideologico o partitico, con l’obiettivo di far rispettare un
diritto acquisito che altrimenti sarebbe ignorato. L’Associazione Diritto al
futuro porterà avanti una battaglia legale che ha bisogno del sostegno dei
cittadini affinché sia efficace.
Chiediamo indietro i
nostri soldi, illegalmente prelevati con la bolletta
L’Associazione Diritto al Futuro si è
ufficialmente costituita a Roma l’8 novembre 2008. Ha al suo interno un gruppo
di persone attivamente impegnate sul tema dell’incenerimento dei rifiuti, nel
Movimento RIFIUTI ZERO e nella promozione dell’Alternativa RIFIUTI ZERO al 2020.
Si avvale di un collegio di avvocati che ha preso a cuore la causa, della quale
ha valutato nei dettagli ogni aspetto.
Il cittadino che accetta di sostenerci in questa
vertenza, pertanto, non corre nessun rischio. Gli chiediamo soltanto di
contribuire alla causa con il versamento di una quota di 10 euro- che sarebbe
restituita insieme con le cifre recuperate nel caso molto probabile di un esito
positivo della vertenza) - e di firmare di fronte a un avvocato una delega, il
consenso al trattamento dei dati personali e il contratto che scarica
all’Associazione Diritto al Futuro tutta la responsabilità civile
del processo. Le azioni successive saranno gestite direttamente
dall’Associazione. In pratica ogni utente di energia elettrica, in regola con i
pagamenti verso il GSE (che ha sostituito l’Enel), sporge denuncia per riavere
indietro i propri soldi. Per questo si dovrà presentare, munito anche della
propria bolletta elettrica e della carta di identità, davanti a un nostro
avvocato, il quale desumerà i dati contrattuali necessari per la vertenza..
Questa operazione non si può delegare, ma per il cittadino è l’unico “fastidio”
di tutta l’operazione. Il resto verrà da sé, perché il percorso della vertenza
sarà gestito in autonomia dall'associazione tramite il lavoro del consiglio
direttivo, eletto democraticamente dall'assemblea dei soci, e da un collegio
tecnico di avvocati di cui l'associazione si è già dotata.
Vista la novità di questa azione è
difficile delineare un piano dettagliato di ciò che avverrà o prevedere a quale
grado di giudizio si approderà, e soprattutto in quanto tempo questo potrà
avvenire. Il percorso sarà deciso anche in base alle adesioni e quindi alla
capienza economica di cui l’associazione potrà disporre, oltre che alle prime
risposte da parte della magistratura.
L’associazione non ha finalità di lucro, per cui ogni
euro raccolto sarà utilizzato per la promozione della campagna. I finanziamenti
arriveranno anche dalle somme che saranno ottenute a risarcimento nel caso di
vittoria nelle cause. L'associazione tratterrà il 20% di quanto restituito per
coprire i costi della vertenza. Il bilancio della campagna, così come tutto il
materiale divulgativo e lo stato di avanzamento della vertenza, saranno resi
pubblici sul sito: www.dirittoalfuturo.it nella sezione dedicata alla vertenza cip
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Chiunque sia interessato a partecipare alla vertenza
e/o collaborare attivamente per la raccolta delle deleghe tramite banchetti,
passaparola, o altro è il benvenuto.
Per contattare l’associazione:
email:
vertenzacip6@dirittoalfuturo.it
L’Associazione Diritto al Futuro
Energie rinnovabili e combustione
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