Giancarlo scrive "di Daniele Scalea
È cominciato a Baghdad il "processo del secolo", com’è stato ribattezzato dagl’illuminati media occidentali.
In
realtà, si dovrebbe parlare di "bufala del secolo". Quello a carico di
Saddam Hussein, legittimo presidente della Repubblica d’Iraq, è un
processo farsa, privo delle più elementari garanzie giuridiche, e con
una sentenza già scritta dalla potenza straniera occupante.
Hussein
è il legittimo presidente dell’Iraq, perché al momento il paese è
occupato dall’esercito statunitense, e dunque il governo instauratovi è
un semplice governo fantoccio. Solo se i Nordamericani dovessero
lasciare completamente l’Iraq, e il governo collaborazionista riuscisse
a mantenersi al potere, allora esso sottrarrebbe a Hussein quella
legittimità che ancora, indubitabilmente, possiede.
Il
valore di simili processi lo conosciamo, avendo una lunga esperienza
che va da Norimberga a L’Aja: il vincitore senza pietà (o lo sconfitto
rancoroso; ma il soggetto è sempre il medesimo) si proclama
unilateralmente "Bene", e pertanto il nemico incarna il "Male"
assoluto; il Bene, senza dubbio, ha diritto di giudicare il Male, ed è
ontologicamente infallibile. In realtà, quest’infallibilità
deriva non tanto dall’infondata pretesa d’essere la giusta parte,
quanto dalle sentenze che sono scritte a priori, senza tener conto
della dimostrazione delle accuse. È stato così per i tedeschi giudicati
e condannati alla forca a Norimberga, per una presunta partecipazione
ad un presunto sterminio degli Ebrei, o semplicemente perché rei d’aver
combattuto il "Bene" (i famosi "crimini contro la pace"). L’ex
presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic, dalla sua cella olandese sta
riuscendo facilmente a smontare le ridicole accuse della nostra
concittadina (non lo diciamo con fierezza) Carla del Ponte; eppure sarà
condannato. E Saddam Hussein?
Gli stessi Stati Uniti d’America, attraverso
indagini ufficiali e pubbliche, hanno riconosciuto che il massacro di
Halabia non trova alcuna responsabilità nelle autorità irachene:
gl’Iraniani (a quel tempo i due paesi erano in guerra) fallirono un
lancio di shrapnel carichi di gas letale, colpendo, anziché le truppe irachene, il villaggio curdo e provocando una strage.
Ma
non è da quest’episodio ch’è partito il sedicente "processo" al Ra’is;
né dagl’improbabili "strumenti di tortura" ritrovati "casualmente"
nello stadio di Baghdad, dopo oltre due anni d’occupazione! Il
processo-farsa a Saddam Hussein parte dalle accuse inerenti la
repressione dei moti sovversivi nel meridione sciita. Sappiamo tutti
che il Presidente iracheno non amava trattare con i guanti (come la
quasi totalità dei governanti storici dell’Iraq), e s’è distinto nella
repressione di oppositori e nemici della nazione. Ciò detto, ha ben
poco da moralizzare chi, come George W. Bush, ha varato il liberticida Patriot Act, condotto due invasioni proditorie a paesi sovrani e apertamente rifiutato di rispettare qualsivoglia convenzione di guerra.
Dopo
la prima invasione statunitense dell’Iraq (Seconda Guerra del Golfo),
gli Sciiti si sollevarono contro il regime ba’athista: Hussein è
biasimato per aver represso nel sangue la rivolta. Ebbene: cos’altro
avrebbe dovuto fare? Se domani i siciliani o i sudtirolesi si
ribellassero chiedendo l’indipendenza, Roma non avrebbe il diritto di
difendere l’unità nazionale con ogni mezzo? Mosca non sta facendo lo
stesso in Cecenia? A suo tempo, i "prodi" nordisti statunitensi non
scatenarono una sanguinosa guerra civile pur d’impedire la secessione
degli stati del sud (secessione che pure rientrava nei diritti
riconosciuti costituzionalmente?). Perché mai ad alcuni sono
riconosciuti diritti di cui altri non dovrebbero godere? Sono proprio i
profeti dell’egualité ad applicare quest’odioso discrimine: come direbbe Orwell, per loro tutti siamo uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Saddam
Hussein, evidentemente, è "meno uguale": perciò sarà condannato, a
prescindere che i crimini a lui ascritti siano dimostrati e
riconosciuti come tali. Sarà condannato, perché la "liberazione
dell’Iraq da un perfido tiranno" è la sola residua scusa rimasta a
Washington per giustificare i propri crimini, dopo che le menzogne
delle armi di sterminio di massa e della collusione con Al Qaida si
sono rivelate tali. Saddam Hussein sarà condannato, plausibilmente a
morte, e andrà ad ingrossare le fila dei martiri caduti per salvare il
proprio paese dall’insaziabile antropofagia anglosassone: un esercito
d’eroi che unisce Italiani, Tedeschi, Russi, Cinesi, Coreani,
Vietnamiti, Giapponesi, Sudamericani e Arabi in gran numero. Un
esercito di martiri che, dall’Aldilà, starà senz’altro trepidando per
la futura vittoria della Resistenza Irachena.
Daniele Scalea
"