Contro la brevettabilità del software |
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.:Inviato Giovedì, 10 luglio 2003 @ 12:55:42 da titiro |
Immaginate di dover pagare una tassa ogni volta che cliccate sul link di un sito, oppure di non poter più visualizzare immagini mentre navigate su Internet, o ancora di dover rinunciare a fare i vostri acquisti in rete. Non si tratta di astruse minacce, ma di rischi concreti, dal momento che le società che possiedono il brevetto del «link» (banale collegamento tra un sito e l’altro), dei formati di compressione jpg e gif (i più diffusi per codificare le immagini sul web) e dello «shopping cart» (il carrello del commercio elettronico) potrebbero improvvisamente decidere di proibire o restringere l’utilizzo di queste tecnologie così fondamentali per gli utenti di Internet. Una questione complicata quella della brevettabilità del software, con la quale gli utenti e le aziende del nostro paese dovranno presto confrontarsi, loro malgrado. La Commissione Europea sta infatti valutando di ampliare anche nel nostro continente la normativa vigente negli Stati Uniti, che consente di porre brevetti sull’ideazione astratta (a cui il software, come le strategie commerciali e le teorie matematiche, appartiene) e non solo sulle sue applicazioni concrete.Se la nuova regolamentazione, fortemente voluta dall’eurodeputata britannica Arlène McCarthy, venisse approvata, si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione giuridica, con immediate ricadute sul fronte sociale ed economico.
«Stanno fabbricando un obbrobrio legislativo», sostiene Stefano Maffulli, presidente della sezione italiana della Free Software Foundation Europe, tra i più accesi contestatori della proposta McCarthy. «Il software è già tutelato dal diritto d’autore e dal segreto industriale. Conferirgli anche un’ulteriore patente significherebbe imbrigliare del tutto l’innovazione tecnologica». Ma cosa accadrebbe in pratica se il Parlamento Europeo decidesse di approvare la proposta sui brevetti?
«Si verificherebbero notevoli difficoltà nel campo della produzione dei programmi. Ogni sviluppatore sarebbe costretto a brevettare i suoi software, con tutti i costi del caso. E subito le grandi aziende americane, proprietarie del 60% dei brevetti software rilasciati illegalmente dall’Ufficio Europeo Brevetti, lancerebbero una battaglia legale per mettere le briglie alle piccole e medie imprese europee che sviluppano algoritmi ogni giorno, ovviamente ignare di calpestare qualche astruso brevetto».
Sulla volontà delle big corporate statunitensi di servirsi della bozza McCarthy per mettere le mani sul mercato software europeo insiste anche Simo Sorce, rappresentante dell’Associazione Software Libero, che ha denunciato come la nuova legge sia la copia carbone di un documento scritto dalla Business Software Alliance, l’associazione internazionale che rappresenta gli interessi delle più importanti società d’oltreoceano che producono programmi (interpellata a questo proposito da La Stampa, la divisione italiana di BSA non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali).
Per far fronte a un’eventuale paralisi del mercato, dove sarebbero soprattutto le Pmi e i liberi professionisti ad avere la peggio, si sta organizzando una protesta su più fronti.
«Stiamo facendo opera di sensibilizzazione presso i parlamentari di Bruxelles – ci conferma Sorce – e abbiamo lanciato una proposta ufficiale per la costituzione di un Comitato Permanente sulla Brevettabilità, che avrà il compito di assicurare che vengano rilasciati solo quei brevetti che vadano nella direzione del pubblico interesse».
Immancabile, ovviamente, è partita anche una sommossa sulla rete, che ha coinvolto fino a questo momento 2.000 manager di PMI e 350mila liberi professionisti, firmatari di un appello online per chiedere agli eurodeputati di opporsi all’approvazione della nuova normativa. Le speranze di riuscita sono ben poche, perché le lobby burocratiche del Parlamento Europeo sembrano maggiormente interessate a garantire l’uniformità del nostro mercato con quello statunitense, piuttosto che ascoltare le necessità delle singole aziende. Un brevetto impedisce a chiunque di usare, studiare o gestire quella parte dello scibile umano su cui è stato concesso, per un periodo di vent’anni. Difficile immaginare gli effetti che l’introduzione di queste patenti potrebbe sortire nel campo del software, che da sempre si basa sulla collaborazione reciproca e sulla condivisione di idee ed esperienze. Per la protesta c’è tempo fino al primo settembre, giorno fissato per la votazione a Bruxelles.
(da quintostato.it)
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